Se non fosse che la Lega a Latina ha un po’ di guai per legami recenti con ambienti borderline in fatto di legalità, l’uscita di Claudio Durigon sulla necessità di cambiare il nome del “Parco Falcone e Borsellino” sarebbe “soltanto” molto infelice. Invece l’affermazione fatta dal sottosegretario all’Economia durante un comizio a Capoportiere assume connotati gravi per il contorno che ha, quello di una città che è stata appena risarcita per il danno subito dalla presenza del clan Di Silvio nel processo in cui era parte civile insieme alla Regione. La stessa città che si prepara ad avere i danni anche nel primo processo per voto di scambio (l’udienza è fissata per ottobre) nel quale compare da imputato un candidato al consiglio comunale nel 2016. Roberto Bergamo si chiama e correva, allora, in sostegno di un candidato sindaco che in seguito è stato eletto in consiglio regionale, con la Lega appunto. Dunque la lotta alla mafia a Latina e i suoi simboli hanno un valore specifico oltre che generale. Il parco al centro delle polemiche i residenti e i frequentatori abituali lo hanno sempre chiamato “i Giardinetti”, formalmente invece era dedicato ad Arnaldo Mussolini, fratello di Benito. La scelta di intitolare la più importante area verde della città ad Arnaldo Mussolini fu motivata col fatto che, secondo la vulgata, si trattava di uno studioso e appassionato di botanica, quando ormai ricerche storiche, corroborate da documenti, e molti libri indicano proprio in Arnaldo il custode dei segreti di un regime, quello fascista, che fu spregiudicato e corrotto all’inverosimile, assai più della Repubblica prima delle inchieste degli anni 90. Tuttavia questo lato del fratello del duce fu volutamente ignorato a lungo e solo a luglio del 2017 l’amministrazione guidata dall’attuale sindaco Damiano Coletta tolse quella intitolazione e la sostituì con i due magistrati eroi ucciso dalla mafia. Fu possibile perché mai prima del 2016 la città era stataamministrata da forze di centrosinistra, quindi nessuno toccò mai quel nome, Arnaldo Mussolini.
Adesso all’ingresso dei “Giardinetti” come molti cittadini continuano a chiamare quel parco c’è la foto con i nomi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, cui sempre a Latina è intitolata anche la sala riunioni della Procura della Repubblica. La destra oltranzista polemizzò molto con il sindaco Coletta al momento del cambio del nome del parco, addirittura il giorno dell’inaugurazione l’allora Presidente della Camera, Laura Boldrini, fu vittima di attacchi violenti sui social, cui seguirono denunce e condanne due anni più tardi. L’anima nera di Latina ha continuato a serbare rancore per quella scelta considerata quasi un oltraggio alla tradizione “littoria”. Per questo il sottosegretario Durigon, durante il comizio accanto a Matteo Salvini, ha calato quello che deve essergli sembrato un asso davanti al “suo ” popolo. E infatti ha detto che quel nome va cambiato e riportata l’intitolazione a Mussolini “perché è la nostra Storia”. Si è trattato di un colpo durissimo alla memoria dei due magistrati uccisi dalla mafia. Nonché di una frase troppo indulgente contro la corruzione dei gerarchi fascisti che era conosciuta (quantomeno) da Arnaldo Mussolini. E infine è stato un pessimo messaggio alla mafia, che a Latina c’è eccome, o comunque c’è stata fino a ieri ed è stata tollerata da un certo tipo di ambiente politico, di centrodestra. La Lega di Latina negli ultimi due anni è stata lambita da pesanti ombre. Un mese fa l’europarlamentare Matteo Adinolfi è finito dentro gli atti della misura cautelare applicata ad un imprenditore dei rifiuti, il quale è accusato di essersi rivolto a componenti del clan Di Silvio per attaccare i manifesti e procurare voti ad Adinolfi, che ha sempre negato di esserne a conoscenza nonostante le precise circostanze riferite da due pentiti del clan. In un contesto così delicato, mentre si sta camminando sul filo sottile di plurime indagini che potrebbero portare a scoprire ulteriori legami, piomba una frase che mette insieme nostalgia per il fascismo e spregio per la lotta alla mafia. Tutto in sei o sette parole, gravissime per le quali la Lega non ha ancora chiesto scusa.