di Claudia Rosati
Per dovere di sintesi rispetto ai tempi che ci siamo dati concentrerò il mio intervento su un aspetto contenuto anche nell’appello e che ritengo assolutamente centrale per l’impresa immensa che stiamo affrontando.
La questione è quella della sedimentazione ideologica che l’egemonia capitalista ha depositato sulla sconfitta del movimento operaio e comunista, operata dal cambiamento di fase del capitalismo con l’irruzione sulla scena mondiale del rullo compressore neoliberista.
Un rullo compressore che non si è messo in moto nell’89, bensì a partire dalla seconda metà degli anni settanta: l’esperimento cileno, ovvero l’attuazione concreta delle teorie neoliberiste della scuola di Chicago (dei cosiddetti chicago boys), aprì la strada a questa fase, che approdò in Europa negli anni 80.
Ciò ci impone una seria analisi anche dei limiti dell’ultimo PCI, che con la sua classe dirigente non seppe, e certamente dalla metà degli anni 80 non volle leggere nella sua interezza questo mutamento profondo, il cui precipitato ultimo è stata la disgregazione e la mutazione antropologica della classe così come oggi si palesa a tutti noi.
Quindi la questione è quella della sedimentazione ideologica attraverso la quale oggi le classi dominanti impongono la loro visione del mondo e la impongono legittimendola universalmente.
Questo aspetto rappresenta un ostacolo enorme per chi, come noi, si propone di operare la ricomposizione di un soggetto organizzato dei comunisti e insieme la necessaria rigenerazione/attualizzazione dell’impianto ideologico-culturale del socialismo scientifico per il XXI secolo. Ed occorre averne piena e totale consapevolezza perchè soprattutto da questo dipende a mio avvviso l’esito della nostra impresa.
Mi spiego.
Da una parte occorrerà analizzare le caratterstiche e le dinamiche di sedimentazione ideologica come precipitato del cambiamento di fase del capitalismo sull’intera società, in sintesi la questione del controllo ideologico. Dall’altra occorrerà porre la questione della sedimentazione ideologica che la sconfitta del movimento operario ha depositato all’interno delle nostre file, intendendo con nostre tutte quelle culture politiche che, a partire dagli anni 80, hanno contraddistinto tutte le esperienze organizzate e di movimento.
Sulla prima questione, cioè quella del controllo ideologico e della formazione del consenso, sarà indispensabile approfondire cioè come si opera oggi la costruzione e la diffusione della falsa coscienza di massa, attraverso quali strumenti (nuovi mezzi di comunicazione, la rete di internet e i social networks) e quali dinamiche (il cosiddetto terrorismo dell’indignazione, il controllo della produzione e diffusione delle emozioni funzionale allo scatenamento delle guerre imperialiste, la diffusione di format -talk show, reality show ecc… – a contenuti non propriamente di natura politica ma che veicolano stereotipi comportamentali in realtà a sfondo ultra politicizzato, cioè tesi alla alienazione dal proprio contesto e ruolo reale nel meccanismo di riproduzione capitalistico in grado di alterare al fondo la percezione della divisione in classi della società.).
Attraverso queste dinamiche il cambio di fase del capitalismo a partire dagli anni 80 si afferma dopo l’89 sul piano ideologico sulla scorta delle tesi di Francis Fukuiama de La fine della storia, dove l’ex Chicago boy propugna la superiorità del sistema occidentale neocapitalista rispetto a modelli di sviluppo alternativi definiti chiusi ossia non allineati al dogma della primazia dell’economia finanziarizzata sulla politica e sui vincoli nazionali e a quello della primazia della società virtualizzata e aperta su qualsivoglia retaggio alternativo basato sul conflitto capitale lavoro definito sempre e comunque fuori dalla storia. Fukuiama indicava nel consumatore desiderante globalizzato cittadino del mondo l’attore unificato al posto dei popoli delle nazioni e delle classi.
Passiamo all’altro aspetto che è quello che più ci riguarda.
Io penso che la sedimentazione ideologica che ha inquinato tutte le culture politiche e le esperienze organizzate e di movimento a partire dagli anni 80 e dopo l’89 risieda nella dicotomia fra teoria e pratica politica che ha impedito lo sviluppo di una prassi adeguata, sostituita nel corso del tempo da espedienti più vari e diversi.
In particolare l’alter ego ideologico a sinistra della concezione Fukuyama, si ritrova per esempio nella visione proposta da Toni Negri (quella dell’impero) indicante nell’atomizzata moltitudine desiderante il nuovo attore politico rivoluzionario cosmopolita, antinazionale e neoborghese, in realtà incentrato nella figura dell’attivista o volontario, o altre definizioni post-moderne della partecipazione politica, visione basata sull’antropologia del desiderio e sulla dissoluzione del soggetto (e aggiungo delle organizzazioni e dei partiti di classe) e sul nemico non più individuato nel capitalismo come luogo universale dell’alienazione, ma nel potere in sè.
Un potere che non è più dunque individuato nello stato ma è concepito diffuso nella società. Per usare un’immagine efficace, ripresa dal saggio di Gigi Roggero, Elogio della militanza. Note su soggettività e composizione di classe , è scomparso il palazzo d’inverno!
L’esaltazione dell’eclettismo delle provenienze, delle vertenze territoriali, della moltitudine dei comitati e delle battaglie particolari è il portato di questa nuova visione. Il potere è diffuso e dunque non occorre più, è inadeguato, il Partito.
In realtà si è rinunciato ad una visione d’insieme propria del socialismo scientifico. In questo sta la drammatica sedimentazione ideologica dell’avversario di classe nelle file a noi più vicine. Il risultato è stato una successione di sconfitte che si sono accumulate sulla sconfitta per eccellenza del movimento operaio.
A questa visione pseudo rivoluzionaria cosa abbiamo saputo opporre noi se non nuovamente il mantra del ripartiamo dalle cose concrete e della comunicazione semplice? Oppure quello della necessità dei comunisti che, quand’anche giustamente presunta, va dimostrata nella prassi specialmente nel confronto con quelle nuove generazioni che dell’istanza comunista disconoscono l’esistenza, se non quella di un inciampo storico definitivamente sconfitto, secondo la vulgata magistralmente orchestrata dagli assetti attuali.
Come ci distingueremmo dal semplice attivismo o volontarismo senza una teoria della trasformazione che è essenzialmente comprensione e scomposizione della realtà e sua ricomposizione in una visione del mondo organica e rivoluzionaria?
Il porre l’accento, dunque, sul momento dell’approfondimento teorico e ideologico come elemento fondante di una prassi adeguata dipende dal fatto che ormai da decenni i comunisti hanno fatto quasi solo l’esatto contrario: non è quindi meramente il voler privilegiare questo aspetto della prassi rispetto a quello della pratica politica concreta e quotidiana semmai è quello di riequilibrare i due aspetti.
Nell’Elogio della militanza che ho citato poc’anzi la questione viene esemlificata bene attraverso la figura del militante che l’autore contrappone a quella dell’attivista.
Sostiene l’autore che “quando al giro di boa del millennio si è iniziato a chiamarlo attivista [il militante] non si è trattato di una semplice concessione linguistica, ma di un cedimento strutturale…
Attivismo e militanza non sono concetti sinonimi o ambivalenti: presuppongono opposte visioni della politica e sedimentano antitetiche coscienze dell’esistente e degli strumenti per combatterlo. In altre parole, il militante è figura politica, di parte, che attraverso il sacrificio e la disciplina dichiara guerra all’individuo liberale in favore del divenire rivoluzionario dell’individuo sociale; l’attivista è al contrario l’innocua figura volontaria che tenta di ricomporre ciò che invece andrebbe disarticolato socialmente per essere ricomposto politicamente contro e non al posto di.”
Il militante, ci dice Roggero, è la figura fondamentale della politica rivoluzionaria. Traduce la linea politica verso il basso e la corregge verso l’alto. E’ la cerniera tra la teoria e la pratica, quel “medio raggio” che rappresenta il cuore dell’agire politico, senza mai scivolare nell’uno o nell’altro dei poli della teoria senza traduzione pratica e della prassi senza strategia politica.
E con questa consapevolezza che noi dovremmo aggingerci a costruire il nuovo partito comunista.
Non un passo indietro, compagni.
*intervento all’Assemblea Nazionale “Non un passo indietro” per la Costituente Comunista 19 marzo 2016