Era un 2 agosto come oggi, esattamente 36 anni fa, quando Bologna, e la sua stazione, furono squassate da un’esplosione: 85 morti, oltre 200 feriti, una ferita mai sanata per la città e per il Paese. Una bomba per colpire al cuore la nostra vita, le nostre vacanze, i nostri affetti. E anche l’inizio di una vicenda giudiziaria lunga, tormentata. Ancora aperta. Strage, insurrezione armata contro i poteri dello Stato e guerra civile.
Con l’aggravante, per i militari, del reato di alto tradimento. Queste le ipotesi d’accusa formulate dalla procura emiliana – anche se al momento contro ignoti – su impulso dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna. Alto tradimento è anche il titolo di un libro che ad essa è dedicato.
Stiamo parlando della stessa cosa. Parliamo di uomini dello Stato che hanno abiurato al giuramento di fedeltà che avevano fatto. Parliamo di cittadini inermi che dalla bomba di Bologna sono stati falciati. Alto tradimento – appena uscito per Castelvecchi nella collana Stato d’eccezione diretta da Andrea Speranzoni e Silvia Buzzelli – è curato da Paolo Bolognesi, dal 1996 Presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime e dal 2013 deputato indipendente eletto nelle liste del Pd, che ha messo insieme una squadra di ricercatori, ex magistrati e giornalisti. Sono Claudio Nunziata, Roberto Scardova, Gigi Marcucci, Giorgio Gazzotti e Antonella Beccaria. A loro Bolognesi ha chiesto di scavare nella mole di centinaia di migliaia di atti giudiziari di cui l’Associazione stessa si è servita per i suoi memoriali depositati in procura, per far apparire i fili che possano condurre ai mandanti.
Nel libro questi fili emergono. Eccome se emergono. E ne emerge un particolare. Giovanni Falcone, per combattere la mafia, diceva che bisognava seguire il percorso del denaro – «Follow the money», raccomandava – e anche qui, in queste pagine, si parte dal percorso che fecero quindici milioni di dollari usati, nell’ipotesi degli autori, per finanziare il massacro del 2 agosto 1980. Ci sono le carte, a volte poco più di foglietti contabili, che ne raccontano la storia. Carte, come il “documento Bologna”, che vengono trovate a Castiglion Fibocchi quando la guardia di finanza perquisisce il 17 marzo 1981 l’azienda di Licio Gelli e che sono addosso allo stesso Venerabile della P2 quando viene arrestato a Ginevra meno di un anno e mezzo dopo. Strano che si porti sempre addosso proprio quei foglietti.
Incrociandoli con altro materiale che salta fuori dal processo per il fallimento del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, ecco allora comporsi un puzzle fatto di conti correnti. Alcuni hanno nomi fantasiosi, come il Recioto, che ai più ricorda solo un buon vino veneto. Altri sono riconducibili a uomini della P2, altissimi funzionari dello Stato italiano, giornalisti chiacchierati. Il disegno che pian piano si configura non riguarda tentativi più o meno riusciti di corrompere ufficiali della Fiamme gialle, come pensato ai tempi, ma il finanziamento di ambienti eversivi per arrivare a ribaltare le istituzioni, facendolo da dentro. Dai documenti trovati, poi, salta il nome “Bologna” e nulla viene trasmesso alla procura che indaga sulla strage più grave del dopoguerra italiano. Strano anche questo. Perché?
La storia di questo Paese è stata attraversata da tanti, tantissimi morti, da tentativi di colpi di Stato, da una violenza indiscriminata che nel 1974 sembra scomparire e invece si inabissa, come ha fatto la mafia dopo la stagione stragista del 1992 e del 1993. In realtà è sempre lì, come quegli uomini che lavorano per sovvertire lo Stato, infiltrando però e infettando i suoi organi.
Ci sono riusciti? A sentire Gelli, quando la P2 fu scoperta, mancavano quattro mesi a un golpe soft, senza i carri armati, il coprifuoco e i proiettili sparati ad altezza d’uomo. «Il Paese deve sapere chi, tramite Licio Gelli, fu tanto determinato contro la democrazia da finanziare una strage di 85 morti e 200 feriti», si legge sul manifesto dell’anniversario di quest’anno. Considerando che ancora oggi siamo qui a porci certe domande, sicuramente qualcosa non ha funzionato in una nazione che ha saputo dare un nome ai responsabili materiali e ai depistatori, ma non è riuscita ad andare più su, verso chi ha la responsabilità politica di aver scatenato una vera e propria guerra civile, come ipotizza la procura di Bologna.
2 agosto 2016