di Michele Paris
L’ennesima crisi andata in scena per oltre due settimane nell’organo legislativo virtualmente più impopolare del pianeta si è conclusa come previsto nella nottata di mercoledì con un voto dell’ultimo minuto per scongiurare il temuto default del governo americano e riaprire gli uffici federali chiusi ormai da 16 giorni. Come raccontano le ricostruzioni ufficiali, il fallimento della maggioranza repubblicana alla Camera dei Rappresentanti nell’estrarre concessioni sulla “riforma” sanitaria di Obama in cambio del via libera al bilancio federale per l’anno 2013/2014 e dell’innalzamento del tetto del debito pubblico ha fatto in modo che l’iniziativa passasse nella giornata di mercoledì ai leader del Senato.
Qui, i numeri uno dei democratici, Harry Reid, e dei repubblicani, Mitch McConnell, si sono alla fine accordati su un pacchetto provvisorio che, senza emendamenti significativi relativi ad altri ambiti, sblocca i finanziamenti per le attività di governo fino al 15 gennaio e assegna al Dipartimento del Tesoro la facoltà di aumentare il livello di indebitamento fino al 7 febbraio. In prossimità di queste date, quindi, non è da escludere che gli americani saranno costretti ad assistere ad un nuovo scontro tra i due partiti.
Le misure trasformate in legge poco dopo la mezzanotte di giovedì dalla firma del presidente avrebbero perciò rappresentato una chiara sconfitta politica per l’ala destra repubblicana che, dopo giorni di battaglia, non ha ottenuto nulla se non il precipitare del proprio indice di gradimento tra la popolazione americana.
L’avvicinarsi della scadenza che avrebbe decretato il primo clamoroso default della storia degli Stati Uniti ha alla fine convinto lo speaker della Camera, John Boehner, a fare ciò che si era rifiutato per due settimane, vale a dire portare in aula un provvedimento su bilancio e debito pubblico privo di elementi che ostacolassero l’implementazione della “riforma” sanitaria. Così, nella serata di mercoledì a Washington la Camera ha finito per approvare con una maggioranza di 285 a 144 il provvedimento licenziato poche ore prima dal Senato, dove i favorevoli erano stati 81 e 18 i contrari, tutti repubblicani.
Alla Camera, tuttavia, sono serviti i voti dell’intera delegazione democratica (198) per garantire l’approvazione del bilancio e l’aumento del debito federale, mentre 144 repubblicani su 231 hanno espresso voto contrario.
Nei giorni successivi all’inizio del cosiddetto “shutdown” del governo federale, in ogni caso, i repubblicani al Congresso avevano progressivamente fatto passare in secondo piano le loro richieste relative alla “riforma” sanitaria, sottolineando invece la necessità di tagli drastici alla spesa, in particolare quella che finanzia programmi di assistenza popolari come Medicare, Medicaid e Social Security, ritenuti “insostenibili” nel lungo periodo.
La resistenza della Casa Bianca e dei democratici al Congresso su “Obamacare”, così come l’inevitabile cedimento repubblicano su tale questione, è stata in gran parte determinata dal sostanziale appoggio garantito sia dalle compagnie di assicurazione sanitaria sia dal mondo imprenditoriale americano ad una “riforma” che consentirà ingenti risparmi sulla spesa sanitaria e porterà decine di milioni di nuovi clienti, obbligati per legge a stipulare una polizza privata.
Parallelamente, la fermezza repubblicana ha cominciato a venire meno e la risoluzione della crisi si è iniziata ad intravedere quando l’industria finanziaria americana ha mostrato tutta la propria apprensione per le conseguenze potenzialmente catastrofiche di un possibile default. Nei giorni scorsi, infatti, gli indici di borsa erano crollati significativamente in assenza di un accordo e l’agenzia di rating Fitch aveva minacciato il “downgrade” del debito USA in mancanza di un’azione del Congresso.
Come le precedenti crisi degli ultimi tre anni, anche quest’ultima risoltasi in extremis spianerà ora la strada ad un nuovo drastico ridimensionamento della spesa pubblica negli Stati Uniti, con attacchi senza precedenti che colpiranno ancora una volta le classi più disagiate.
L’accordo negoziato da Reid e McConnell prevede infatti la formazione di un gruppo di lavoro presieduto dalla senatrice democratica Patty Murray e dal deputato repubblicano Paul Ryan -presidenti rispettivamente delle commissioni Bilancio di Senato e Camera – che avrà il compito di trovare un’intesa entro il 15 dicembre per ridurre il deficit federale con severi tagli alla spesa pubblica.
Al centro dei negoziati ci saranno appunto i programmi frutto delle politiche progressiste del New Deal e delle riforme degli anni Sessanta del secolo scorso, considerati fino a poco tempo fa intoccabili per entrambi gli schieramenti politici di Washington. Sotto la scure finiranno inoltre molti altri capitoli di spesa – ad esclusione di quelli relativi all’apparato della sicurezza nazionale – con pesanti tagli, tra gli altri, nel campo dell’edilizia pubblica, dell’assistenza e della sicurezza alimentare, del rispetto delle norme ambientali, dell’educazione e delle infrastrutture.
La disponibilità dei democratici a valutare misure per garantire la “sostenibilità” dei programmi di assistenza pubblici era stata d’altra parte manifestata più volte nelle ultime due settimane anche dallo stesso presidente Obama, il quale aveva chiesto ripetutamente quanto ha alla fine ottenuto mercoledì, cioè l’approvazione incondizionata del bilancio federale e dell’innalzamento del tetto del debito come condizione per aprire un negoziato sui tagli a tutto campo con i repubblicani.
Inoltre, come ha spiegato nell’annunciare l’accordo di mercoledì il leader repubblicano al Senato, Mitch McConnell, le misure provvisorie approvate dal Congresso faranno proseguire il cosiddetto “sequester”, ovvero i tagli automatici alla spesa scattati nel mese di marzo e che per il solo anno in corso ammontano a 85 miliardi di dollari.
Il punto di partenza delle trattative che si svolgeranno nelle prossime settimane comprenderà poi con ogni probabilità sia gli ulteriori mille miliardi di dollari di tagli alla spesa previsti dal “sequester” per i prossimi otto anni sia una qualche “riforma” del sistema fiscale degli Stati Uniti che, per stessa ammissione di Obama, vedrà una riduzione delle aliquote sulle grandi aziende che già stanno facendo registrare profitti da record.
In definitiva, l’apparente muro contro muro tra democratici e repubblicani propagandato dai media ufficiali in questi giorni è servito a creare un clima da catastrofe imminente, così da giustificare i nuovi assalti che già si annunciano alla spesa pubblica e su cui entrambi i partiti concordano ampiamente.
Le uniche differenze, in realtà, risultano essere di natura tattica, con il partito Repubblicano apertamente schierato contro lavoratori e classe media, mentre quello Democratico, sebbene ugualmente espressione delle élite economiche e finanziarie d’oltreoceano, costretto a cercare di presentarsi come difensore dei programmi pubblici di assistenza per salvaguardare ciò che resta della propria tradizionale base elettorale.
17 Ottobre 2013