di Gianni Barbacetto e Antonio Massari
I verbali dell’ex avvocato Eni Piero Amara su una loggia segreta chiamata “Ungheria” – forse una nuova P2, forse la più colossale delle menzogne, forse chissà entrambe le cose – hanno già prodotto più d’un effetto: non solo mandare in cortocircuito la Procura di Milano, ma scuotere altissime istituzioni della Repubblica. Lo si evince leggendo gli atti del fascicolo con indagati a Brescia Piercamillo Davigo e Paolo Storari per rivelazione del segreto istruttorio, con l’accusa di aver diffuso i verbali di Amara.
In quelle pagine sono dipinte scene come quella del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, David Ermini, che si presenta al Quirinale davanti al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per riferirgli della superloggia di cui lo ha informato Davigo: “Il presidente mi ascoltò senza fare commenti”. Stop. La massima autorità dello Stato è descritta come una sfinge immobile e silenziosa, davanti a quello che potrebbe essere uno scandalo colossale.
Un altro quadro di questa collezione mostra Ermini che incontra Davigo nella sua stanza e riceve una copia dei verbali segreti di Amara riposti in una “cartellina arancione”. Ermini commenta: “Non avevo alcuna voglia di leggere quelle carte perché consegnate in modo irricevibile e totalmente inutilizzabile”. Anziché chiedere di riceverle in modo formale o cercare un’altra soluzione, Ermini risolve il problema con il cestino della carta straccia: “Appena uscito Davigo”, racconta ai pm bresciani Francesco Prete e Donato Greco, “presi la cartellina che mi aveva lasciato sul tavolo e, per i motivi sopra indicati (irritualità ed irricevibilità degli atti), la cestinai. Voglio sottolineare che io quei verbali non li ho mai voluti leggere e li buttai nel cestino senza aver preso conoscenza del loro contenuto”.
Non è l’unica scena paradossale di questa commedia. C’è anche un momento in cui lo strano caso dei verbali segreti usciti dalla Procura di Milano piomba sull’intero Csm: durante una riunione informale convocata nel maggio 2021 da Ermini che diventa un mix tra un interrogatorio e una seduta di autocoscienza. La racconta ai pm di Brescia l’avvocato Stefano Cavanna, membro laico (cioè non magistrato) del Csm: “Davigo mi parlò dei verbali a maggio 2020. Noi ci vedevamo tutte le mattine; avevamo un bel rapporto. Un giorno mi disse che doveva parlarmi di una cosa molto riservata: mi disse in particolare che c’era una indagine in corso (forse a Milano) molto vasta su una presunta loggia massonica. Mi disse espressamente: ‘In questa indagine è coinvolto Sebastiano Ardita’”.
Ardita fino a pochi mesi prima era molto vicino a Davigo. Continua Cavanna: “Davigo aggiunse: ‘Si tratta di una indagine segreta, ti prego di non parlarne con nessuno’. Gli promisi che avrei mantenuto la riservatezza e così ho fatto”. Poi i pm gli chiedono “di chiarire la ragione per la quale Davigo ritenne di fare questa confidenza”: “Non so rispondere. Certamente il fine non era istituzionale o comunque collegato alle mie funzioni di consigliere, né Davigo mi chiarì qual era l’intendimento. Potevo immaginare che in quel momento mi stesse informando su un fatto riguardante il consigliere Ardita affinché io ne traessi delle conclusioni, ma non ho elementi oggettivi da offrire a riguardo”.
Cavanna continua spiegando di non aver ricevuto verbali né documenti: “Raccolsi solo quelle dichiarazioni, né Davigo mi disse come era venuto a conoscenza di quelle informazioni. (…) Posso dire che mi pareva preoccupato della gravità e della vastità dell’oggetto dell’indagine”. Poi Cavanna racconta la riunione indetta da Ermini: “Nel corso di tale riunione Ardita si lamentò del fatto che molti colleghi lo avessero messo da parte. Ci esortò a rivelare l’eventuale informazione in nostro possesso circa la vicenda che lo riguardava. Ricordo che Cascini e Gigliotti dissero di essere stati informati da Davigo circa le dichiarazioni sulla loggia Ungheria”.
Giuseppe Cascini e Fulvio Gigliotti sono due consiglieri del Csm che sapevano di Ungheria. “Il giorno successivo”, prosegue Cavanna, “Ardita mi prese in disparte e mi chiese se anche io fossi stato informato da Davigo sulla vicenda e gli confidai che mi era stato riferito da Davigo dell’esistenza di una indagine”.
Anche la consigliera Ilaria Pepe racconta ai pm bresciani: “Davigo mi disse anche che avrei potuto leggere quelle dichiarazioni ma io declinai l’invito perché ritenevo che le determinazioni da assumere non spettassero a me ma eventualmente al Consiglio inteso come organo collegiale. (…) Davigo mi disse che al di là dei riscontri alle dichiarazioni di Amara, sarebbe stato opportuno prendere le distanze dal consigliere Ardita (…). Nel dubbio e in attesa di verifica”.
Pochi giorni prima, la Procura di Roma aveva perquisito gli uffici di Marcella Contrafatto, ex segretaria di Davigo al Csm, considerata colei che ha recapitato copie dei verbali segreti, in forma anonima, al Fatto, a Repubblica e al consigliere Csm Nino Di Matteo. E proprio Di Matteo racconta al plenum del Csm di aver ricevuto quelle copie e le definisce un dossieraggio, con dichiarazioni su Ardita “palesemente calunniose”.
Così Ermini convoca la riunione che viene descritta ai pm di Brescia da Cavanna. Lo stesso Ermini ne parla a Prete e Greco: “Arrivo al giorno in cui Di Matteo prese la parola in plenum (…). Dopo tale intervento, si ripropose il problema di tutelare il buon nome del Consiglio e per far ciò ritenni di convocare, seppur informalmente, tutti i consiglieri al fine di cercare un confronto sincero su quello che stava emergendo. Nel corso di tale incontro, Ardita prese la parola e con una evidente partecipazione emotiva rifiutò l’idea di aver avuto comportamenti opachi e si lamentò del fatto che qualcuno potesse aver creduto a delle dichiarazioni calunniose addirittura togliendogli il saluto. Era molto alterato di ciò e molti consiglieri gli ribadirono la loro stima e fiducia. Emerse anche che qualcuno aveva già ricevuto da Davigo delle informazioni sulla cosiddetta loggia Ungheria”.
6 febbraio 2022
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