di Rita Pennarola [ 03/09/2010] *
Un intero pezzo di citta’ che diventa zona franca. E sul palcoscenico, a mascherare i veri business, un rutilante circo di transessuali. Questa e’ oggi via Gradoli, dove il Sisde dominava nei giorni del caso Moro, con Francesco Cossiga al Viminale e in vetta ai Servizi. All’indomani della sua scomparsa, siamo tornati nella zona del covo BR. Dove si gioca una partita a base di coca, con un convitato di pietra: i Casalesi. Per la prima volta, ecco sigle e personaggi proprietari degli immobili.
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C’e’ una autentica enclave degli 007 italiani, nella capitale. Si trova nella zona nord, dalle parti della Cassia, poco distante dalla Tomba di Nerone. E si chiama via Gradoli. E’ una cittadella di palazzine appartate, con tanto di viali privati, tirata su nel corso degli anni settanta forse proprio col preciso intento di dar vita ad una “zona franca” per trame di ogni genere, tutte puntualmente verificatesi, dal caso Moro fino allo scandalo Marrazzo dei giorni nostri. Ma procediamo con ordine. Perche’ in quella ombrosa roccaforte romana non sono acquartierati solo uomini e societa’ di copertura dei Servizi, ne’ esclusivamente nerbotuti brasiliani in minigonna dediti a fornire fiumi di coca ai vip, spacciando il tutto come prestazioni sessuali. No: accanto a queste inquietanti compagini ci sono decine di ignare famiglie, oggi tutte scese in campo e riunite in un agguerrito comitato per restituire dignita’ alla loro zona.
E, forse, c’e’ anche altro.
LA GRADOLI DEL CASO MORO
Se qualcuno pensava che quei personaggi chiave del sequestro di Aldo Moro siano oggi a via Gradoli solo un fantasma del passato, beh si sbaglia. Perche’ alcuni tra quei “fantasmi” sono ancora in qualche modo li’. In carne e ossa.
Partiamo dalla famiglia Catracchia, proprietaria di numerosi appartamenti in via Gradoli: sia al civico numero 96 (quello dove, nel bilocale a pian terreno, il trans Natali’ riceveva Piero Marrazzo, e non solo lui), sia nei fabbricati contrassegnati dai numeri 35 e 75. Tanti, insomma. Alcuni posseduti attraverso una societa’, la Immobil Varese di Laura Catracchia, altri direttamente intestati a suo fratello Domenico Catracchia, o alla figlia di quest’ultimo, Simona, o ancora alla moglie, Teresa Palocci. Chi e’ Domenico Catracchia? Romano, 66 anni, oggi risulta titolare di una vecchia societa’ in accomandita semplice, la Nidas, fondata nel 1970, che ha sede proprio in via Gradoli, al 75, dove possiede alcuni immobili. Dedita alla costruzione di edifici, Nidas era stata interamente rilevata nel 1998 da Catracchia e da sua figlia Simona. Cedente era stato l’ex socio di Catracchia, Massimiliano Teichner.
Ma la storia vera e’ un’altra. Si’, perche’ il nome di Domenico Catracchia risuona fra le pagine oscure che ricostruiscono le trame segrete del rapimento Moro. In quegli anni il titolare di numerosi immobili di via Gradoli si chiamava Vincenzo Parisi. Lui, l’allora funzionario Sisde, che sarebbe poi diventato capo della Polizia negli anni delle stragi di mafia. Lui che insieme al collega del Sisde Bruno Contrada ricevette Paolo Borsellino nel famoso incontro al Viminale con il ministro del tempo, Nicola Mancino, appena 48 ore prima delle bombe in via D’Amelio. Il braccio destro per le questioni immobiliari di Vincenzo Parisi era un signore di nome Domenico Catracchia.
A maggio del 1998, in occasione del ventennale dell’assassinio di Aldo Moro, alcune interrogazioni provenienti da diverse parti politiche scuotono Montecitorio e Palazzo Madama. Anche perche’ in quei giorni Sergio Flamigni, ex componente della Commissione Stragi, pubblica con Kaos l’incandescente: “Il covo di Stato”, sui rapporti fra BR e Servizi nel caso Moro. A tirare in ballo Catracchia e’ per primo il senatore dei Ds Paolo Corsini, secondo il quale in quegli anni l’allora funzionario Sisde Vincenzo Parisi era divenuto «intestatario di alcuni appartamenti nel palazzo di via Gradoli 96» ed aveva «affidato la amministrazione degli immobili di sua proprieta’ al signor Domenico Catracchia, amministratore dell’intero stabile, il quale riscuoteva personalmente gli affitti da tutti gli inquilini per conto di societa’ immobiliari riconducibili ai Servizi».
Ma non basta. Corsini attacca ancora e chiede «se risponda a verita’ che dagli archivi del Catasto Urbano di Roma sia scomparsa la documentazione relativa all’appartamento di via Gradoli 96, scala A, interno 11, cioe’ l’appartamento che funse da base operativa per preparare e attuare il sequestro Moro».
E c’e’ dell’altro, perche’ dall’archivio del commissariato Flaminio Nuovo della Polizia di Stato risultavano scomparsi i documenti relativi alla scoperta del covo Br di via Gradoli 96.
Per chi non lo ricordasse, l’inquilino del civico 96, scala A interno 11, altri non era che «l’ingegner Mario Borghi», alias il brigatista Mario Moretti il quale, insieme alla sua compagna Barbara Balzerani, si servi’ “stranamente” di un appartamento che risultera’ poi di copertura dei Servizi per tutto il tempo dei preparativi e del sequestro dello statista democristiano.
Nel 1994 esplode lo scandalo dei fondi neri del Sisde. Che porta alla luce, fra l’altro, le numerose societa’ immobiliari usate dai Servizi: tutte dall’apparenza “normale”, tutte intestate a dottori commercialisti, fiduciari o prestanome. E saltano fuori gli appartamenti di via Gradoli: ben 20 solo al civico 96. Otto facevano capo, all’epoca, alla societa’ Monte Valle Verde, amministrata dal commercialista Aldo Bottai, il quale si dimette poche ore dopo la scoperta del covo di Moretti. Qualche anno dopo, nel 1981, ritroviamo Bottai alla guida della finanziaria Negrafin, a sua volta fondatrice della Capture Immobiliare, altra sigla delle barbe finte che sara’ sequestrata nel 1993. Capture ancora oggi e’ affidata alle cure del custode giudiziario Davide Franco, un professionista delle curatele post-sequestro giudiziario (il suo nome ricorre in decine e decine di incarichi affidati dalla Procura di Roma), all’epoca appena trentunenne.
I “fantasmi” del caso Moro, intanto, non sono ancora finiti in via Gradoli. E ci riportano di brutto alle inchieste giudiziarie di oggi. Perche’ l’ingegner Borghi-Mario Moretti nell’appartamento del civico 96, secondo piano, aveva una dirimpettaia molto particolare. Sullo stesso pianerottolo del covo abitava infatti Lucia Mockbel, sorella di quel Gennaro Mockbel finito nel marzo scorso al centro di un’inchiesta giudiziaria a base di Telekom Sparke, Fastweb e ‘ndrangheta, su cui si allunga anche l’ombra della banda della Magliana.
LA GRADOLI DI MARRAZZO
E pensare che a tuonare in parlamento sui misteri di via Gradoli era stato, nel 1998, anche Gianni Alemanno. Lo stesso sindaco di Roma che dieci anni dopo, appena arriva in Campidoglio, presceglie per amministrare le societa’ pubbliche Roma Entrate spa e Zetema Progetto Cultura, guarda caso, esattamente i due proprietari dell’appartamento preso in fitto da Natali’, il “fidanzato” di Piero Marrazzo, che accoglieva l’ex presidente della Regione Lazio proprio un piano sotto al covo di Moretti. Possibile? Vediamo.
Fino a novembre 2009, vigilia dello scandalo, l’immobile contrassegnato al catasto come «appartamento via Gradoli n. 96, piano T, interno 2, scala B, edificio 1» risultava di proprieta’ della T.L.F. srl, codice fiscale 06392981004. Il 23 dicembre, antivigilia di Natale, esploso l’affaire Marrazzo sulla stampa, la prudenza consiglia di cambiare denominazione alla societa’. Un maquillage tanto per non dare nell’occhio. T.L.F. muta il nome e diventa Todini e Cuomo Consulting, ma non puo’ trasformare il codice fiscale, che resta lo stesso. Repentino cambio anche di amministratori: il timone passa da Alberto Todini a Giustino Alessandroni, mentre esce di scena, lo stesso giorno, il socio Bruno Agresti.
Titolari della societa’, che ha sede in via Peltechian, sempre nella capitale, restano quindi (a parte una quota minoritaria intestata a Luca Laudadio, proprietario del Dandy Cafe’ ai Parioli), lo stesso Todini, 41 anni, romano, e Giannantonio Cuomo, originario di Catanzaro, trentanovenne. Entrambi per una vita calciatori dilettanti, sempre insieme come commercialisti e tutti e due prescelti per strategici incarichi all’indomani dell’insediamento di Alemanno: Todini come sindaco effettivo di Roma Entrate, che gestisce l’intera massa dei tributi nella capitale, Cuomo nel collegio sindacale di Zetema, cui fa capo la gestione di musei e beni culturali nella citta’ eterna ed oltre. Quanto ad Agresti, nessun dubbio sulla sua fedelta’ assoluta al sindaco: nel 2008 era stato fra i candidati della lista “Il popolo della vita per Alemanno”.
Con diecimila euro canonici nel capitale sociale ed una sede secondaria nella centralissima via Cola di Rienzo, la ex T.L.F e’ dedita a «consulenza societaria e incarichi giudiziari». «Non si capisce – spiega un penalista della capitale – se sia questo il caso, ma di certo la citta’ pullula di sigle, generalmente srl, dall’apparenza anonima e amministrate da commercialisti, che poi ritrovi come proprietarie di grossi patrimoni aziendali o immobiliari, quasi sempre per conto terzi. E non di rado scopri che sono sempre le stesse che ricevono in gran quantita’ incarichi di curatele fallimentari o giudiziarie da Procura e Tribunale».
In nome e per conto di chi la societa’ Todini e Cuomo Consulting possiede l’appartamento in cui vive Natali’, al secolo Jose’ Alejandro Vidal Silva? «Avevamo acquistato l’immobile per investimento – prova a dire l’amministratore Giustino Alessandroni – e precisiamo che noi coi trans non c’entriamo niente…».
I NIPOTINI DI SANDOKAN
E allora noi facciamo un passo indietro. E torniamo a quei primi giorni di febbraio 2009 quando i carabinieri del nucleo investigativo di Roma arrestano oltre 30 affiliati ai Casalesi operanti nel basso Lazio. A capo del sodalizio c’era Gennaro De Angelis, referente del clan nell’area di Frosinone, Latina e Gaeta, nonche’ imparentato con Francesco Schiavone “Sandokan”. Un sequestro, quello messo a segno ai danni dell’organizzazione criminale, dal valore complessivo di 80 milioni di euro. E di fronte al quale si registro’ un secco annuncio di Piero Marrazzo: e’ solo l’inizio, andremo avanti. Un po’ troppo, forse, secondo i boss degli stupefacenti, per un uomo che gia’ da tempo assumeva regolarmente cocaina. E che di certo non la comprava in farmacia.
A luglio 2009 scatta l’operazione del MOF, il mercato ortofrutticolo di Fondi, che si scopre essere crocevia di piu’ mafie impegnate in colossali operazioni di riciclaggio e controllo del territorio. E’ solo l’inizio. E i boss lo sanno bene: meno di un anno dopo un altro duro colpo all’organizzazione: a maggio 2010, sempre intorno al MOF i sequestri di beni, aziende e denaro liquido ammontano a quasi 100 milioni di euro.
Primi di settembre 2009, occhio alle date. Sempre i carabinieri, stavolta quelli del Ros, stanno seguendo la pista del narcotraffico che conduce dalla provincia di Caserta al basso Lazio fino al cuore della capitale; in particolare cercano di rintracciare le piste dei due superlatitanti Antonio Iovine e Michele Zagaria, segnalati in zona Gaeta. E’ allora che casualmente gli uomini del Ros s’imbattono in una telefonata. Parlano fra loro due esponenti dei Casalesi e la frase e’ secca: «Dobbiamo vendere il video del presidente». L’indagine va avanti e, un’intercettazione dopo l’altra, spunta il cellulare di uno dei quattro carabinieri del caso Marrazzo.
Il resto e’ storia. Da quel momento, della maxi inchiesta sulle primule rosse della camorra e sui fiumi di stupefacenti non si sapra’ piu’ nulla. E a fine ottobre la vicenda si trasforma in uno scandalo a luci rosse, con Marrazzo subito pronto a fare un salvifico outing (nessun reato il sesso coi trans, ma se invece il giro di denaro avesse riguardato traffici di droga, sarebbe stata ben diversa la sua posizione giudiziaria) e gli occhi dell’opinione pubblica tutti puntati sulle preferenze sessuali dei maschi italiani. Una posizione sapientemente impostata da un penalista di grido come Luca Petrucci, tanto in auge da avere ricevuto recentemente una nomination – poi sfumata – per il Csm.
Uno scenario perfetto, sul piano giudiziario. Marrazzo vittima di ricatto. E quattro “mele marce” fra i carabinieri della Trionfale. Fino a quando non ci scappa il primo morto. Che in realta’ era gia’ deceduto il 20 settembre, ma la notizia non aveva fatto, al momento, alcun clamore. Gianguerino Cafasso, il pusher dei trans collegato in qualche modo, forse come confidente, proprio ai carabinieri, era originario della zona di Gaeta. Il decesso, avvenuto nella stanza d’un motel della periferia romana, era stato archiviato come overdose. E nessuno ci aveva fatto caso. Bisognera’ aspettare la primavera avanzata del 2010 perche’ si cominci ad indagare per omicidio.
Ma intanto a novembre era stato trovato morto anche Brenda, l’altro trans “dalla lingua lunga” che aveva avuto frequenti incontri con Marrazzo e chissa’ quanti altri vip.
«Sono molte centinaia – spiega un esperto di intelligence della capitale – i trans privi di qualsiasi permesso di soggiorno, spesso anche di passaporto, che non solo “esercitano” regolarmente a Roma, specialmente nell’area di via Gradoli e nell’adiacente via Due Ponti, ma raccontano spavaldamente di frequenti viaggi andata e ritorno nella loro terra di origione, il Brasile, per andare a trovare i parenti. Chi ha coperto per anni tutto questo? E a quale scopo?». Domande ovvie. Peccato che ad avanzarle sia stata solo la Voce, nell’inchiesta di dicembre 2009, quando i viados in abito da sera si affollavano sui set televisivi e non esitavano – Natali’ e lo stesso Brenda in testa – a parlare delle transvolate intercontinentali. Un autentico schiaffo in faccia per le centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori extracomunitari, vittime di leggi razziste e privati per anni e anni della possibilita’ di rivedere i figli lasciati in patria.
«Per chi conosce le logiche della camorra – riprende l’esperto – lo scenario si fa piu’ chiaro: il giro dei trans serve a mascherare i traffici di coca: e’ la vendita porta a porta, ma non di rado anche lo smercio di partite piu’ grosse, quelle che finiscono nei locali notturni o nelle ville della Roma bene». Quale luogo migliore, per gestire il giro, se non il quartier generale dei Servizi sulla Cassia? E ci ricorda qualcosa il fatto che il generale Giampaolo Ganzer, capo dei Ros con base a Roma, sia stato recentemente condannato in primo grado proprio per giri illegali di cocaina? Una trama ordita a tavolino, dunque, il caso Marrazzo. Questa l’ipotesi. Con un paio di “pupari”, in alto, quattro carabinieri chiamati – com’e’ nel loro Dna – ad eseguire ordini superiori, e un intreccio di interessi che convergono nella gestione della polvere bianca, un affare da svariati milioni di euro l’anno.
ESQUILINE E LE ALTRE
Potrebbe sembrare il nome dell’ennesimo trans, ma non lo e’. Esquiline ci riporta invece dritti dritti al civico 96 di via Gradoli (edificio 1, scala B, interno 7) in un altro appartamento, lasciato precipitosamente, dopo la morte di Brenda, dal misterioso trans che vi risiedeva da tempo. L’immobile e’ di proprieta’, more solito, di una fiduciaria. Stavolta si tratta della milanese Ser. Fid., che a sua volta detiene il 99% di capitale della lussemburghese Esquiline s.a. Dalla remota sede di avenue Gaston Diderich la societa’ regge le sorti anche di una sigla romana, la Immobiliare Cantalupo, sede in via Bassano del Grappa 4, a Roma, di cui detiene la maggioranza del capitale insieme al socio di minoranza, il partenopeo Antonio Maglione, classe 1938. Allo stesso indirizzo c’e’ la sede legale di Finncost, finanziaria fondata nel 2006 con lo scopo di «gestire partecipazioni anche di societa’ quotate in Borsa». Scatola dopo scatola, ecco apparire Intertur, che si occupa di hotel ed imbarcazioni da diporto e fa capo allo stesso Maglione.
Il 15 ottobre del 2009 a rappresentare la Esquiline dinanzi all’assemblea degli azionisti, in Lussemburgo, c’era Achille Severgnini (il quale proprio quel giorno decide di lasciare il timore a monsieur Julien Nicaud).
Chi e’ Severgnini? Qualcuno a Milano ricorda ancora gli anni lontani in cui i Severgnini facevano studio abitualmente con un collega di nome Michele Sindona. Piu’ di recente il nome del professionista milanese Achille Severgnini, titolare della Ser.Fid, era invece balzato alle cronache in qualita’ di consigliere della Magiste di Stefano Ricucci. Sempre in tandem con lui e’ poi Guido Sterzi, altro professionista delle intestazioni fiduciarie nonche’ genero di uno dei Severgnini ed impegnato anche in Esquiline.
Restiamo a via Bassano del Grappa 4. Dove ha la sua sede anche CMC Service, altra srl che possiede immobili al 96 di via Gradoli. I soliti 10 mila euro nel capitale sociale ed un oggetto che vede come attivita’ prevalente la consulenza ed elaborazione dati per conto terzi, Cmc ha un socio di maggioranza che si chiama Real Estate Management, mentre a detenere piccole quote e’ Demetrio Gradilone, 39 anni, romano, amministratore unico fino a marzo 2008, quando gli subentra Sabrina Silvestri.
Particolare curioso: sempre in via Bassano del Grappa e sempre al 4 si trova lo Studio Cesarini, associazione professionale di commercialisti che vede in prima fila lo stesso Demetrio Gradilone. Cosa fa lo Studio Cesarini? «E’ in grado di fornire ai propri clienti il servizio di domiciliazione societaria». Anche Crc Service, insomma, possiede appartamenti a via Gradoli in nome e per conto di qualcun altro che non desidera apparire.
Saliamo appena di qualche pianerottolo (siamo ancora e sempre nelle palazzine del 96) ed ecco un altro proprietario dai contorni indefiniti. Stavolta si tratta di Celesia spa, il cui capitale e’ interamente possieduto dalla Garlate Beheer BV srl, una finanziaria con sede in Olanda che si occupa di trading, immobiliare e non. Amministratore di Celesia, fondata nel ‘96 con 200 milioni di vecchie lire e appena due anni dopo incorporata da Criseide srl (stesso indirizzo in via Marocco 96, Roma) e’ Laura Romaldini. Ad agosto del ‘93 muore improvvisamente suo marito, il costruttore Renato Armellini: infarto fulminante per un uomo che era considerato tra gli artefici del sacco edilizio di Roma, con mostri di cemento costruiti dalla Magliana all’Eur, dal Laurentino al Tuscolano fino all’Ostiense. Un autentico turbine, la sua vita, con pesanti inchieste della magistratura e perfino un rapimento targato ‘ndrangheta. Ma Armellini continua a far parlare di se’ anche dopo morto: il 4 luglio del 1996 viene arrestato per ordine della Procura di Milano un magistrato romano, Antonio Pelaggi (se la cavera’ in appello). I pm ritengono che abbia ricevuto 400 milioni da Armellini in cambio dell’assoluzione in una causa per un’evasione fiscale da 500 miliardi. E ad accusare il magistrato era stato il genero di Armellini, Alessandro Mei, a sua volta sotto inchiesta per concussione e rinviato a giudizio assieme a Enrico Nicoletti, il cassiere della banda della Magliana. «Sembra che Pelaggi – riporta all’epoca il Corriere della Sera – affidasse le perizie sempre alle stesse persone e con parcelle elevate».
Criseide srl, intanto, la societa’ di Laura Romaldini nata dalla fusione con Celesia, nel ‘98 abbandona l’Italia: sposta la sede in Lussemburgo ed affida il suo capitale ad una fiduciaria locale.
Altro giro, altro professionista. Possiede alcuni immobili fra il 96 e il 75 di via Gradoli una piccola ed apparentemente insignificante sas: si tratta della Immobiliare Marco, sede in via Germanico, fondata con quattro spiccioli nel 1991. Suoi amministratori sono Adriana Sebastiani e l’assicuratore Stefano Vacca Maggiolini, titolare di un’accorsata agenzia della Fondiaria Sai. Stesso abbinamento (appartamenti fra il 75 e il 96 di via Gradoli) per la Kjuse Immobiliare, altra sigla che sembra avere come unica attivita’ il possesso di quegli appartamenti ai numeri caldi della strada dei trans.
Fra il 38, il 75 e il civico 35 (lo stesso in cui a novembre si e’ registrata una violenta esplosione) possiede case, poi, un ingegnere, Maurizio Barbato. E un altro Barbato, Diego, risulta titolare di immobili sia al 35 che al 75. Magari si tratta solo di un omonimo. Certo e’ che per avere appartamenti in quella via i mezzi finanziari non debbono mancare. E allora Diego Barbato potrebbe essere lo stesso imprenditore in prima fila nella sede laziale dell’Ucid, il potente consesso associativo degli industriali cattolici dove si ritrovano fianco a fianco alti vertici delle leve finanziarie vaticanensi e una certa parte dell’imprenditoria italiana. Molti fra loro – compreso il «dott. Diego Barbato» – da qualche anno animano un’altra creatura super elitaria: la Fondazione Roma Europea, quartier generale nello storico Caffe’ Greco ed un parterre che comprende, fra gli altri, il presidente Consob (ora al vertice Ferrovie) Lamberto Cardia, lo stesso fondatore dell’Ucid Francesco Merloni, e gente come Enrico Ferri, Mauro Miccio, Paolo Cuccia e Maurizio De Tilla. Gli sponsor ufficiali della Fondazione? Si va da Enel ad Autogrill, da Eni a Finmeccanica, fino a Telecom, Wind, Terna e Autostrade. Tanto per fare qualche nome.
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Da Via Gradoli allo IOR
Tutte le strade portano a Catracchia. E al Vaticano. La pista si trova nell’interrogazione dell’allora deputato di AN Vincenzo Fragala’, sempre nel ‘98, secondo decennale dalla scomparsa di Moro. Nel 1975 – veniva spiegato – la sigla di copertura dei Servizi proprietaria di quasi tutte le palazzine che formano il civico 96 aveva il nome di Caseroma spa. Ed era amministrata da Domenico Catracchia, in prima fila anche nella stessa Immobiliare Gradoli spa, cui facevano capo decine di altri immobili nello stesso condominio (in particolare il civico 75). A detenerne l’intero pacchetto azionario era la fiduciaria romana Fidrev, che ancora oggi ha sede in piazza Liberta’ ed e’ amministrata – ora come allora – da Maria Sarno. Con appena 10 mila euro di capitale sociale, nel 2003 la Fidrev dichiarava in bilancio di amministrare per conto terzi patrimoni e capitali per la bellezza di 6 milioni e mezzo di euro.
Ma e’ seguendo l’Immobiliare Gradoli (fra i cui sindaci spunta Gianfranco Bonori, qualche anno dopo segretario della Gattel srl, societa’ di copertura del Sisde), che si arriva ben presto Oltretevere: la stessa terna di commercialisti fondatori della Gradoli si ritrovava infatti, pari pari, nel collegio sindacale della Compagnia di San Giorgio, la corazzata dello Ior per il patrimonio edilizio. Uno dei tre, il commercialista Vittorio Silvestrini, sarebbe stato anche sindaco di altre sigle ombra riconducibili al Sisde, come ad esempio la Servo Immobiliare, facente capo a Michele Finocchi e sequestrata nel ‘94.
Nel collegio sindacale della Compagnia di San Giorgio, inoltre, sedeva l’ex capo contabile della banca vaticana, Pellegrino De Strobel, il cui fratello Pietro era stato sindaco della Brink’s Securmark, l’istituto trasporto valori oggetto della famosa rapina da 35 miliardi nella quale rimase coinvolto Tony Chicchiarelli, assassinato il 28 settembre 1984. Era lui, Chicchiarelli, l’artefice del falso comunicato del Lago della Duchessa. Il primo, clamoroso depistaggio del caso Moro.
* tratto da: la Voce delle Voci