Jean Georges Almendras
La fotografia di Víctor Jara è un eterno emblema non solo di un crimine commesso dal fascismo cileno (orrendo per l’arte mondiale, per la libertà di espressione e per la libertà dell’uomo) ma anche di quella che è stata un’incessante richiesta di giustizia in terra cilena, in America Latina e nel mondo. Ma finalmente il volto dell’artista è ora un segno inequivocabile che la condanna al carcere dei suoi assassini – sette ufficiali militari in pensione – è un dato di fatto. E significa che è stata fatta giustizia, ma giustizia con la lettera maiuscola. Ciò comporta anche un’implicita condanna pubblica di quelle ideologie rancide, autoritarie e criminali che hanno permesso che la vita di Jara fosse falciata quando la dittatura militare si è insediata in Cile, poche ore dopo la morte di Salvador Allende, nel “Palacio de la Moneda”, l’11 settembre 1973, ossia 50 anni fa. La notizia dei giorni scorsi della condanna a 25 anni di carcere dei militari che gli hanno tolto la vita è stata udita in tutte le redazioni del mondo, perché Víctor Jara era ed è un artista di tutto il mondo.
Perché la sua vita, le sue canzoni, il suo lavoro da militante, così come il suo martirio, fanno ormai parte dell’intero pianeta. Ma si è verificato un evento imprevisto, una sorta di risposta alla sentenza del tribunale: uno dei condannati – Hernán Chacón – non ha sopportato di essere preso tra le braccia della legge. Nel momento in cui scriviamo, avrebbe scelto di togliersi la vita poco prima che le forze di sicurezza arrivassero a casa sua per arrestarlo.
Il tempo ha fatto inesorabilmente il suo corso e i condannati hanno già un’età compresa tra i 73 e i 75 anni, ma ciò non ha impedito – come è giusto che sia quando si tratta di crimini di terrorismo di Stato o crimini contro l’umanità – che su di essi ricadesse tutto il peso della legge, anche se a distanza di cinquant’anni. E non dobbiamo dimenticare, in aggiunta, che questi soldati godevano dell’impunità e quindi erano liberi. Vivevano impunemente nel cuore della società cilena come se non avessero fatto nulla. Come se l’attacco a Jara non fosse mai esistito. Come se quell’atroce dittatura non fosse stata altro che l’ennesimo episodio di guerra nelle loro rispettive vite militari, di un regime assassino sin dalle sue origini.
La sentenza è stata emessa dai membri della Corte Suprema cilena. Come riportato dalla stampa cilena e internazionale: 15 anni di carcere per gli omicidi di Víctor Jara e dell’ex direttore delle carceri Littré Quiroga Carvajal (un militare onesto che si era ribellato al golpe) e 10 anni, per i sequestri di entrambi, per gli ufficiali militari in pensione Raúl Jofré, Edwin Dimter, Nelson Haase, Ernesto Bethke, Juan Jara e Hernán Chacón; circa 8 anni in più per l’ufficiale Rolando Melo, per il suo ruolo di complice.
Ma c’è di più: dagli Stati Uniti è giunta la notizia che un altro ufficiale militare, Pedro Barrientos, anch’egli accusato di essere coinvolto nell’omicidio di Víctor Jara, ha appena perso la cittadinanza statunitense, proprio perché direttamente collegato all’omicidio dell’artista cileno. Di conseguenza, non si può escludere che in futuro possa essere arrestato nel Paese nordamericano per poi essere estradato in Cile per seguire le orme degli altri militari, ossia essere sottoposto a processo e rinchiuso in carcere.
Va notato che gli avvocati difensori dei militari hanno presentato ricorsi in cassazione, ma questi sono stati respinti nella loro forma sottolineando che, in sede civile, è stato disposto che l’erario paghi a ciascuno dei fratelli di Víctor Jara 80 milioni di pesos (equivalenti a 93.600 dollari) e alla vedova e ai figli 150 milioni di pesos, ovvero 175.500 dollari statunitensi ciascuno.
L’omicidio di Víctor Jara fu commesso il 16 settembre, in seguito al suo arresto avvenuto il giorno del golpe, mentre tutto il mondo seguiva in televisione l’assalto fascista alla sede del governo, coraggiosamente occupata dal presidente Salvador Allende e dai suoi stretti collaboratori. La sede fu poi bombardata e mitragliata nel corso di una battaglia infernale che culminò con la morte del presidente costituzionalmente eletto e l’arresto dei suoi collaboratori, alcuni dei quali furono poi uccisi dal regime che si impose con la pura violenza.
Come fatto storico da non trascurare la notizia della condanna è stata annunciata in concomitanza ad un evento tenutosi all’Università di Santiago del Cile (USACH) alla presenza del Presidente Gabriel Boric per inaugurare una mostra fotografica intitolata “Por la vida siempre” (“Per la vita sempre”). Questa mostra è stata letteralmente rimandata di 50 anni, perché si sarebbe dovuta tenere proprio l’11 settembre del 1973 presieduta dall’allora presidente Allende. Con il colpo di Stato, la mostra è stata sospesa fino a pochi giorni fa, quando è stata annunciata la notizia della condanna dei militari golpisti.
Per 50 anni il grido popolare per la morte dell’artista, del militante comunista, del regista teatrale, dell’insegnante e scrittore, cantautore Víctor Jara è diventato un fortissimo segnale di denuncia al mondo di ciò che il fascismo al potere è capace di fare. Víctor Jara è stato un martire fin dal momento in cui è stato arrestato, torturato e colpito da armi lunghe a canna lunga (il suo corpo aveva 44 colpi di proiettile e le sue mani erano distrutte dai colpi del calcio di un fucile) nello Stadio Nazionale, dove era imprigionato insieme a migliaia di altri militanti. Anche così, imprigionato e con la morte alle spalle, Victor fu l’emblema di una lotta tenace contro il fascismo che stava divorando il suo Paese. Una lotta che ha superato le frontiere e che dura ancora oggi.
Un altro militare seguì la stessa sorte, ossia Littré Quiroga Carvajal, 33 anni, il quale fu arrestato l’11 settembre quando si presentò ai suoi superiori esprimendo il suo totale disaccordo con il regime che veniva imposto con la violenza. Fu imprigionato nello Stadio Nazionale del Cile, torturato insieme a Víctor Jara e poi assassinato; il suo corpo (insieme a quello di Jara) fu ritrovato qualche tempo dopo vicino al Cimitero Metropolitano insieme ad altri cadaveri.
La dittatura cilena è stata feroce, illegale e assassina nelle sue azioni, nella sua imposizione. Cinquant’anni dopo la giustizia cilena, nelle sue azioni, è stata legittima, costituzionale e democratica nei confronti dei militari accusati di aver partecipato al sequestro e all’omicidio di Víctor Jara e Littré Quiroga. Non c’è stata vendetta contro i soldati condannati. È stato un atto di giustizia. E in questo contesto, come uno scherzo del destino, uno dei condannati, l’ufficiale di brigata Hernán Chacón, quando ha saputo di essere stato condannato e di essere in procinto di essere arrestato e portato in prigione, ha optato per la via d’uscita più semplice: togliersi la vita per non rispettare la decisione del tribunale. Sembra che fino all’ultimo momento abbia negato il l suo atto atroce in quanto repressore, visto che in quei giorni del ’73 faceva parte dell’intelligence e aveva il potere di decidere quale persona dovesse essere arrestata e inviata allo Stadio Nazionale in Cile per essere interrogata e, nei fatti, torturata e uccisa. Un negazionismo che in Cile e in altri Paesi della regione, ha sempre accompagnato – insieme alla cultura dell’impunità – gli scagnozzi del fascismo dittatoriale, quando era il momento di vivere in democrazia.
L’avvocato Nelson Cauto, specialista in diritti umani, riferendosi alla sentenza della Corte Suprema cilena ha affermato categoricamente: “La giustizia ha svolto il suo compito con assoluta aderenza alla legge, sia nazionale che internazionale, portando conforto alle famiglie delle vittime che hanno atteso per tanti anni questo momento”.
Così oggi, con Victor Jara, giustizia è stata fatta, letteralmente. I suoi assassini sono stati condannati. E sappiate, repressori cileni liberi, che questa sentenza è irrevocabile ed esemplare.