Foto: Hollande Francois e Angela Merkel © Getty Images
Per Zimmermann la bagarre sul rigore è funzionale ai governi. Tutto è già deciso.
di Barbara Ciolli
Tutto tace a Berlino. Il clamore del no francese al tetto del 3% del rapporto deficit/Pil non è mai arrivato in Germania, dove il barometro politico continua a misurare temperature opposte alla febbre anti-austerity del resto d’Europa.
Non sfiora la paura di ritrovarsi isolati a Bruxelles, con l’Italia che fa cartello con l’Eliseo, rinviando al 2017 l’obbligo costituzionale del pareggio di bilancio, imposto dalla legge di Stabilità, con buona pace per i «compiti a casa» chiesti dalla cancelliera tedesca Angela Merkel.
LINEA DI BASSO PROFILO. Da Berlino nessuna risposta frontale alla polemica francese. A onor del vero, nemmeno una parola dei socialdemocratici tedeschi (Spd), che governano con i conservatori tedeschi, spesa in solidarietà verso i cugini socialisti d’Oltralpe e verso il Genosse (compagno) italiano Renzi. C’è solo l’inflessibile refrain di sempre sul rispetto delle regole europee e qualche accenno a come la Francia sia dipinta, anche a casa propria, come un «cattivo scolaro».
VERSO LE RIFORME. La polemica non sfonda, anzi i tedeschi la ignorano, perché guardano al casus belli con una prospettiva completamente diversa.
«I governi di Francia e Italia hanno già riorientato considerevolmente le loro politiche. La programmazione effettiva va nella direzione tedesca, ossia nel mix di riforme del mercato accanto al consolidamento delle finanze statali», spiega a Lettera43.it l’economista tedesco Klaus Zimmermann, supporter dell’Agenda 2010 dell’ex cancelliere Gerhard Schröder e del premier italiano Matteo Renzi. «La discussione sull’austerity è solo una manovra di distrazione. Serve cioè a rassicurare le rispettive popolazioni».
Zimmermann Klaus economista tedesco © Getty Images
Zimmerann: «Si discute sull’austerity per distrarre»
Kein problem, il problema non esiste. Tutto è già deciso e il polverone è montato per tenere buone le opinioni pubbliche interne, di fronte a trasformazioni che potrebbero risultare indigeste agli elettori.
La Germania ha vissuto le barricate contro la riforma del lavoro del governo socialdemocratico di Schröder 10 anni fa, in un clima stagnante ma ancora di benessere diffuso, quando lo scontro sociale nei Paesi in crisi dell’Eurozona era lontano. Allora tutto era più facile.
«FLESSIBILITÀ SENZA DEBITI». Oggi l’asse Roma-Parigi viene gonfiato, per portare avanti, nella sostanza, cambiamenti anche impopolari chiesti dall’Unione europea (Ue.) E in fondo anche alla cancelliera Merkel fa gioco, per il proprio elettorato, mantenere verbalmente la linea inflessibile del rigore.
«Si calma l’agitazione per qualcosa che non è affatto previsto. La Germania non pretende alcuna politica d’austerità, è aperta alle iniziative d’investimento. Naturalmente a patto che queste non producano nuove montagne di debiti. I quali, a loro volta, porterebbero a nuove crisi economiche», premette Zimmermann.
MOSCOVICI FA IL COMMISSARIO. La prospettiva tedesca, così distante dal tam tam anti-austerity franco-italiano, non fa una piega con la linea osservante della nuova Commissione di Bruxelles.
Di fronte dell’europarlamento, la colomba francese Pierre Moscovici, commissario Ue agli Affari economici e finanziari, ha richiamato tutti al rigore: «Stabilità e crescita non sono opposti. Sono francese e socialista, ma sarò imparziale. Se un Paese non soddisfa gli obblighi del trattato ed è sotto procedura come la Francia, continuerò con la procedura».
Merkel Angela e Matteo Renzi © Ansa
Flessibilità in cambio di riduzione dei debiti: l’Ue ha già deciso
Facendo sponda al falco Jyrki Katainen, il finlandese rigorista vicepresidente della Commissione Ue (con deleghe al Lavoro, alla Crescita e agli Investimenti), Moscovici ha ribadito: «Tutti, e sottolineo tutti, devono rispettare le regole comuni. Flessibilità non può essere cambiamento delle normative, né una loro interpretazione creativa. Non c’è crescita senza riduzione dei debiti e non c’è riduzione dei debiti senza crescita».
Con l’École nationale francese Ensae, e altri accademici ed economisti dell’Ue, l’Istituto per il futuro del lavoro (Iza) diretto da Zimmermann ha proposto un laboratorio paneuropeo di politici, rappresentanti privati ed esperti universitari, che lavorino per riforme condivise, anche in collaborazione con Bruxelles.
CRESCITA DENTRO LE REGOLE. L’obiettivo è «un’Europa più solida, ma anche più inclusiva e omogenea, aperta alla mobilità e all’integrazione».
Crescita e flessibilità nell’alveo delle regole. In questa cornice si muove, per Zimmermann, la Germania della Große Koalition: «Non vedo una Berlino diretta verso l’isolamento. Così salterebbe tutta l’Unione europea, si distruggerebbero le fondamenta della buona sopravvivenza economica dell’Europa». Se la socialdemocrazia tedesca non si è saldata all’asse franco-tedesco contro il rigore, è perché il «Patto di Stabilità e Crescita dell’Ue consente ai Paesi membri la flessibilità durante i periodi di crisi».
VERTICE A FINE OTTOBRE. Le crisi però devono «essere impiegate, per ottenere successi a medio e lungo termine», per i quali sono necessarie «riforme del mercato e misure per la stabilità delle finanze statali». «La chiave per la sicurezza dell’euro» sta qua.
Al di là della baruffa, tutti i leader dell’Ue, sotto la regia della Banca centrale europea, ne sarebbero consapevoli. Solo che a nessuno fa comodo dirlo.
L’8 ottobre c’è il summit europeo sul lavoro a Milano. E alla fine del mese (23 e 24 ottobre) i 28 capi di Stato e di governo sono attesi al grande tavolo del Consiglio europeo, per ritrovarsi, il 18 e il 19 dicembre, ancora riuniti, per l’ultimo vertice del 2014. I nodi, se davvero ci sono, verranno al pettine.
03 Ottobre 2014